Uno dei problemi di cui più spesso si parla quando abbiamo a che fare con il sistema della formazione e del lavoro in Italia è il cosiddetto mismatch, ossia il disallineamento tra le competenze garantire dal sistema di istruzione e i fabbisogni professionali dimostrati dal tessuto economico e produttivo. Detto in altri termini, mismatch vuol dire che scuola e università troppo spesso non sono in grado di formare profili appetibili per le imprese, le quali a loro volta hanno difficoltà a trovare sul mercato il personale qualificato di cui avrebbero bisogno. A essere danneggiato da questo problema, è ovviamente tutto il mondo economico e sociale italiano, perché i suoi effetti più immediati sono il rallentamento dello sviluppo e la disoccupazione.
Tale questione, periodicamente discussa e ridiscussa da attori politici, istituzionali e del mondo economico e delle imprese, continua tuttavia a dimostrare la sua attualità, ponendosi al centro di un dibattito ancora insoluto.
Ma in considerazione del fatto che il mismatch riguarda soprattutto i profili cosiddetti “tecnici” (ce ne sono pochi, o comunque non quanti ne servirebbero alle imprese), negli ultimi tempi si sta da più parti portando all’attenzione del grande pubblico l’offerta formativa degli Istituti Tecnici Superiori (ITS).
Gli Istituti Tecnici Superiori: formazione per trovare lavoro
Stiamo parlando di istituti di istruzione terziaria che offrono percorsi formativi equiparabili ai corsi di laurea, ma pensati appositamente per formare profili capaci di trovare una rapida collocazione all’interno del mercato del lavoro. Per gli ITS si parla in particolare di formazione terziaria professionalizzante.
In Italia ne esistono un 93, sono ubicati soprattutto al Nord (18 soltanto in Lombardia) e insistono su 6 aree tematiche, considerate cruciali per lo sviluppo economico del nostro Paese: mobilità sostenibile; efficienza energetica; tecnologie innovative per i beni e le attività culturali e il turismo; tecnologie dell’informazione e della comunicazione; nuove tecnologie della vita; nuove tecnologie per il Made in Italy.
Offrono percorsi di formazione di 2 o 3 anni, e prevedono l’obbligo per gli studenti di effettuare almeno il 30% del proprio impegno orario (in termini formativi) in uno stage in azienda, così da avere in uscita un profilo già avvezzo alle dinamiche del lavoro. Inoltre, il 50% dei docenti proviene dal mondo delle imprese.
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ITS: in 8 su 10 trovano lavoro dopo anno dal titolo
Secondo il monitoraggio 2018 del MIUR sugli ITS, le percentuali di diplomati negli ITS che trovano lavoro a 1 anno dal diploma sono altissime. Si parla in particolare dell’82,5% in tutta Italia (con picchi che superano il 90% in alcuni contesti del Nord), percentuale in costante crescita negli ultimi anni (nel 2015 si attestava sul valore del 78,3%). E, elemento di grande interesse, nel 90% dei casi le assunzioni dopo il conseguimento del titolo ITS avvengono in settori coerenti con il percorso di studi intrapreso.
Purtroppo però, nonostante questi numeri, coloro che in Italia scelgono di seguire un corso di studi terziario presso un ITS sono ancora pochi. Nel 2018 sono soltanto 10.972 gli studenti iscritti negli ITS, numeri comunque in aumento rispetto al passato (7.838 nel 2015) ma che tuttavia fanno impallidire se raffrontate con quelle degli altri grandi Paesi europei: in Germania sono oltre 760.000 gli iscritti a percorsi di istruzione terziaria professionalizzante, in Francia 530.000, in Spagna 400.000 e in Gran Bretagna più di 270.000.
È per tutti questi motivi che da più parti, ma soprattutto dal versante delle imprese, si sta assistendo ultimamente a una rinnovata attenzione nei confronti degli ITS. Istituti che funzionano, che creano professionisti tecnici di cui le imprese hanno vitale bisogno, capaci per questo di collocarsi fin da subito sul mercato del lavoro, e che fanno il bene del tessuto economico nazionale.
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